Malgrado qualche esitazione d’ordine religioso, la dissezione del corpo umano si generalizza in Europa a partire dall’inizio del XIV secolo. Aprendo il cadavere, gli anatomisti dischiudono il cammino verso lo studio delle profondità e, al contempo, assegnano un ruolo primordiale a questa parte sino ad allora invisibile del corpo umano. La morte, a lungo considerata un ostacolo per l’esame della persona umana, diventa la condizione stessa di un sapere oggettivo. Ma l’osservazione rigorosa condotta da un medico è condannata all’oblio se nessuna immagine ne conserva traccia. Per altro, contro i partigiani di un’anatomia senza immagini che domina la scienza medievale, una nuova generazione di medici comincia a dissezionare in stretta collaborazione con gli artisti. Inoltre, a partire dal Rinascimento, il ritrovato interesse per la rappresentazione del corpo umano induce pittori e scultori a studiare l’anatomia, poiché “per rappresentare fedelmente l’esterno, bisogna imitare l’interno”. L’occhio coglie nel vivo ciò che il bisturi disseca nel morto. Vedere e sapere si confondono. Molti artisti, tra cui Leonardo da Vinci, Raffaello, Michelangelo, Bandinelli, i Caracci, s’appassionano d’anatomia e tanti tra loro praticano la dissezione.
Il primo trattato completo d’anatomia descrittiva, il De humani corporis fabrica, è pubblicato da Andrea Vesalio a Basilea nel 1543. La sua originalità consiste nell’aver inserito nel testo circa trecento illustrazioni, realizzate probabilmente da Jan van Calcar o comunque nella bottega di Tiziano (di cui Calcar fu un allievo). Le grandi opere d’anatomia che seguirono sino alla metà del XIX secolo sono tutte frutto della cooperazione tra medici e artisti, come quella tra l’anatomista Govard Bidloo e il pittore Gérard de Lairesse, o tra il medico Bernhard Siegfried Albinus e l’incisore Jan Wandelaar.
Le illustrazioni dei primi trattati anatomici testimoniano l’orrore della dissezione e spesso indugiano nel registro macabro. Poi, le opere cercano di rendere l’anatomia linda e seducente celando tutto ciò che rinvia alla triste realtà del cadavere. Gli scorticati, spesso pettinati e sorridenti, esibiscono pose accattivanti. I decori che li circondano progressivamente scompaiono per lasciare il posto a delle immagini sempre più neutre, immagini che evocano una cartografia piuttosto che la rappresentazione d’un essere vivente. Questa neutralità s’accentua ancora di più con lo sviluppo e la diffusione delle immagini mediche contemporanee, che utilizzano tecnologie avanzate, colori e piani di referenza meccanicamente codificati.
Se all’occhio dell’uomo nulla è più enigmatico dello spessore del proprio corpo, ciò probabilmente accade perché non può coglierne la complessità senza ridurlo a un gioco di superfici semplici e perciò intellegibili. Proprio qui sta il paradosso dell’illustrazione anatomica. Tanto sulla pagina del libro, quanto - oggi - sulla superficie dello schermo, noi acquisiamo conoscenza della nostra profondità unicamente attraverso immagini piane: “Ciò che è più profondo nell’uomo, è la pelle”, scriveva Paul Valery. (pc)