Fin dalla loro prima creazione nel XVI secolo, i teatri anatomici hanno definito un terreno comune in cui sono stati messi in scena molteplici sguardi sul corpo. Nell’intento di approfondire la conoscenza del reale attraverso lo sguardo in quel luogo, le scienze mediche si sono incontrate e connesse con il desiderio artistico di indagare le profondità sotto la pelle, mossi entrambi dalla volontà esplorativa rinascimentale e dalla volontà contemplativa barocca della carne. Nell’impianto scenico della dissezione, chi operava al centro del teatro mostrava ed era al contempo mostrato, in una mise en abîme del corpo basata principalmente su una percezione visiva che, attraverso il disegno, integrava e restituiva una particolare tattilità in grado di assimilare le forme corporee attraverso il gesto e il segno.
Per Sublimi Anatomie la costruzione scenografica del teatro anatomico ha preso spunto dal rifacimento dell’anfiteatro di morfologia dell’École Nationale Supérieure des Beaux Arts di Parigi che Philippe Comar, artista e co-curatore della mostra, ha trasformato in un vero e proprio atelier dedicato al disegno dal vero, sostituendo i modelli viventi ai cadaveri e restituendo dinamicità all’osservazione diretta dei corpi.
Il teatro anatomico di Sublimi Anatomie non ha inteso soltanto restituire centralità al corpo sensibile, ma ha proposto un rovesciamento ovvero una ridefinizione delle relazioni che, all’interno dello spazio espositivo, si stabiliscono tra soggetto e oggetto, tra osservato e osservatore. Questo è stato possibile grazie all’architettura neoclassica di Palazzo delle Esposizioni, caratterizzata da una serie di gallerie che si irradiano attorno a una rotonda centrale in cui s’intersecano traiettorie e punti di fuga. Questa specificità ha facilitato la creazione di una spazialità poliforme e ha permesso di fare entrare in dialogo una molteplicità di elementi diversi e complementari con l’idea di “teatro”, suggerendo nuove letture della mostra, ovvero un nuovo modello espositivo. Un modello in cui i corpi inanimati delle opere e dei documenti esposti prendono e danno senso ai corpi animati dei performer, dei docenti, dei modelli, degli studenti e a loro volta tutti questi attivano in forme diverse i corpi e lo sguardo del visitatore, inevitabilmente catturato in una “posizione” ambivalente tra il dentro e il fuori l’azione, all’interno e intorno ad essa. Un modello espositivo in cui la funzione-mostra si intreccia e si contamina con le modalità in cui si esplicano la formazione (la lezione o il laboratorio aperto di disegno dal vero, la conferenza di approfondimento teorico) e la ricerca performativa (la pratica coreografica, la “prova” teatrale). (cp,lp)