Sublimi anatomie è un viaggio, tra passato e presente, tra scienza e arte, nella contemplazione del corpo umano. Dall’antichità classica a oggi, tutta la storia dell’anatomia è accompagnata dall’eco estatica dello stupore prodotto dall’osservazione e dalla scoperta delle parti che compongono il corpo, dallo sguardo che si attarda sulla sua superficie o che penetra nei suoi anfratti più reconditi e microscopici.
In un’orazione sulla vita di Galeno (130-210), il medico di Pergamo che più di tutti ha segnato la storia della medicina occidentale e araba almeno sino al XVII secolo, il filosofo e teologo Filippo Melantone (1497-1560), uno dei padri della riforma protestante, afferma che “l’Anatomia è l’inizio della Teologia, è il punto d’accesso all’agnizione di Dio”. Infatti, come scrivono sovente gli anatomisti rinascimentali, lo studio della “meravigliosa composizione del corpo umano” conduce alla conoscenza ed è “prova dell’onnipotenza divina”. Al tempo stesso, tuttavia, l’anatomia è conoscenza di sé, occasione di riflessione individuale e intima sul proprio essere e sul proprio destino: non a caso, l’apoftegma socratico “conosci te stesso” campeggia in numerose illustrazioni anatomiche e ricorre nei trattati dedicati a questa disciplina per tutta l’Età Moderna. In generale, per medici, artisti e filosofi di questo periodo (ma non solo), il corpo è, tra tutte le mirabilia del mondo, oggetto assoluto di contemplazione e di stupefazione.
Il sublime, materia specifica dell’atto contemplativo, entra nel vocabolario anatomico tardivamente. Bisogna attendere gli anni Quaranta del XIX secolo, quando Pietro Leopoldo istituisce la cattedra di “Anatomia Sublime e delle Regioni” all’Ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, che sarà assegnata nel 1849 a Filippo Pacini (1812-1883), il medico pistoiese già professore dal 1847 di “Anatomia Pittorica” all’Accademia di Belle Arti di Firenze. L’anatomia era stata introdotta come disciplina d’insegnamento per gli artisti sin dalla fondazione dell’Accademia del Disegno di Giorgio Vasari (1511-1574) nel 1563 e qui, come nelle facoltà di medicina, si praticava regolarmente la dissezione. Il titolo della cattedra di Pacini si deve alla circolazione della nozione di sublime in ambito artistico e filosofico nel corso dell’Ottocento. Sviluppata nelle opere di Edmund Burke (1729-1797), Immanuel Kant (1724-1804) e Arthur Schopenhauer (1788-1860), la poetica del sublime aveva incontrato la sensibilità di molti artisti che si muovevano nella temperie del movimento romantico. Nella filosofia e nell’arte di questo periodo, in parallelo alla discussione sulla differenza tra Bello e Sublime, si accentua una declinazione drammatica ed estrema di quest’ultimo, inteso come “l’orrendo che affascina” oppure come “il terrore che produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”, o addirittura come “potenza e vastità di un oggetto che potrebbe distruggere chi lo osserva”. Il corpo, il cadavere, la dissezione, gli smembramenti eroicamente echeggiavano quest’interpretazione drammatica del sublime e della sua percezione.
Tuttavia, la nozione di sublime – più vicina allo stupore e alla meraviglia prodotta nei medici, artisti e filosofi dell’età rinascimentale e barocca dalla contemplazione del corpo umano – giunge da più lontano e da tutt’altro ambito. Il primo testo a essa dedicata è un’opera di estetica, o più precisamente di retorica, del I secolo dell’era cristiana, intitolata Trattato del Sublime di autore incerto (è spesso indicato come Pseudo-Longino o come Anonimo del Sublime). Anche qui il Sublime supera il Bello, ma l’autore si sofferma innanzitutto sulla forza persuasiva (e dunque positiva) del Sublime in ambito retorico: “il Sublime trascina gli ascoltatori non alla persuasione, ma all'estasi: perché ciò che è meraviglioso s’accompagna sempre a un senso di smarrimento, e prevale su ciò che è solo convincente o grazioso, dato che la persuasione in genere è alla nostra portata, mentre esso, conferendo al discorso un potere e una forza invincibile, sovrasta qualunque ascoltatore”.
“Il sublime è come un fulmine” che permette a chi lo produce e a chi lo percepisce di accostarsi a Dio e all’Io. Le opere in mostra, siano esse d’artisti, di scienziati o d’artigiani che si sono cimentati col corpo e le sue parti, con corpi vivi o con cadaveri, che siano nostri antenati o nostri contemporanei, hanno raccolto la sfida del sublime come viatico della conoscenza. (ac)