Transesperienze: una conversazione tra Chen Zhen e Zhu Xian
di Chen Zhen
Da Chen Zhen: Trans experiences CCA Kitakyushu, Kitakyushu; Korinsha Press, Kyoto 1998
*Autointervista di Chen Zhen. Zhu Xian è un alter ego il cui nome è stato creato separando i due ideogrammi cinesi che formano il nome Zhen.
Zhu Xian: Come vola il tempo! Dieci anni passati in un attimo. Ricordo quando ti ho chiesto, alla fine del 1986, nel momento in cui eri pronto a partire per la Francia, “Ora che hai raggiunto ‘l’età a cui ci si sistema’, stai ancora lasciando la tua terra d’origine. Devi ricostruire la tua esistenza in un nuovo paese. Non pensi sia un po’ tardi per ricominciare da capo?” Mi hai risposto, “Beh, andrò a braccio”. Ora che sei via da dieci anni, e hai “zou-ed” (viaggiato) in molti paesi, come ti senti?
Chen Zhen: La parola “zou” è miracolosa. Se si fosse capaci di apprezzare appieno il significato della parola “zou” per tutta la durata della propria vita, si riuscirebbe a raggiungere il regno del “Zhong Chen Zhong Wu” (livello intermedio di conoscenza e livello intermedio di comprensione). “Vagare di luogo in luogo” “Marciare per lunghe distanze” “Non versare una lacrima finché non si vede la propria bara (non smettere di cercare finché non si è messi di fronte alla dura realtà)”, e anche “tenere le distanze dal mondo”, tutte queste cose hanno a che fare con il concetto di “zou”. Ovviamente, ciò che volevo davvero trasmettere era più una “fuga spirituale”.
ZX: “Fuga spirituale”?
CZ: Esattamente. “Fuga spirituale”. L’esperienza più profonda che si possa avere nella vita è quella di colui che è capace di liberarsi dal proprio “bozzolo”, ed è abbastanza coraggioso da “scappare da sé stesso” e “abbandonare” il suo contesto culturale. Il proverbio Cinese “l’anima ha lasciato il proprio rifugio” simbolizza, infatti, una condizione di criticità in cui la propria capacità creativa ha raggiunto il suo apice. L’esperienza dello “zou” e l’eccitazione del lavoro creativo sono entrambe connesse con questo genere di situazioni. Ovviamente, la “fuga spirituale” ha anche un’importanza in relazione al problema della solitudine auto-imposta. Negli ultimi anni, “la solitudine auto-imposta dell’aprirsi e spostarsi” è il pilastro grazie a cui sono stato in grado di praticare “zou” e vivere.
ZX: Se ora volessi riassumere tutte le tue esperienze di “zou” in una sola frase o anche solo con una parola…
CZ: Transesperienze. In cinese, si potrebbe dire “Rong Chao Jing Yan”. E’ una specie di “fusione-trascendenza di esperienze”. In inglese e francese non esistono parole analoghe, ma il prefisso “trans” significa “passaggio”, “attraverso”, “aldilà”, “transfer”, “oltre”, “dall’altro lato di”, etc…, unendo questo prefisso al sostantivo “esperienza” e usando il termine che ne deriva nella sua forma plurale, hai coniato una nuova parola, che riassume, in maniera vivida e profonda, le complesse esperienze vissute lasciando la terra in cui si è nati per muoversi da un posto all’altro. La cosa più intrigante di questa unione è che il prefisso in questione ha una connessione con la parola “zou” di cui parlavamo poco fa.
ZX: Capisco bene, quindi, se dico che da un lato, per te, “transesperienze” rappresenta, nell’arco di una vita in movimento e piena di attività, l’interconnessione totale e la padronanza olistica di periodi e avvenimenti diversi; dall’altro, nei termini delle relazioni e delle differenze tra te e gli “Altri”, “transesperienze” diventa un nuovo “concetto” che dimostra le tue qualità personali e le caratteristiche della tua identità come individuo?
CZ: Non solo. “Transesperienze” rappresenta anche un concetto interno all’arte. Non è una teoria puramente concettuale; è, piuttosto, un’idea esperienziale impura, un modo di pensare e un metodo per la creazione artistica capace di connettere quel che viene prima a ciò che arriva dopo, adattandosi alle circostanze mentre queste cambiano, accumulando esperienze di anno in anno, e diventando capaci di attivarsi in qualunque momento.
Questo tipo di concetto esperienziale inoltre, si relaziona con tematiche di estrema importanza: l’immersione del sé nella vita, il mescolarsi e l’identificarsi con gli altri. È un’idea ancora influenzata dal movimento dell’“esperienza della vita” sviluppatosi nella Cina maoista. Quindi, per diversi anni, ho dedicato molto del mio tempo e della mia energia a cercare di comunicare con il mondo esterno utilizzando diligentemente la mia conoscenza della lingua inglese e di quella francese. Credo che oggi, arrivati alla soglia del Ventunesimo secolo, l’arte sarà in grado di mostrare la sua più potente vitalità nei contatti, negli scambi, nelle incomprensioni e nei conflitti tra persone e persone, tra persone e società, tra persone e Madre Natura, tra persone, scienza e tecnologia, e ancora tra continenti e continenti, e tra gruppi etnici e gruppi etnici. Ciò che più mi interessa sono queste “reti di relazioni”. “Transesperienze”, quindi, non significa soltanto seguire il mio modo di fare le cose, ma è anche un concetto che condivide infiniti rapporti con tutte queste reti.
ZX: Da questo punto di vista, possiamo considerare “transesperienze” come una coscienza latente, che ti stimola ad arricchire le tue esperienze di vita al massimo del loro potenziale e, contemporaneamente, ti dà la possibilità di regolarti e trarre vantaggio da queste esperienze in modo “naturale”, quindi “inconsciamente” stabilendo una sorta di “logica interna”?
CZ: Puoi vederla in questo modo. Ma come particolare metodologia di pensiero e come processo speciale di accumulazione di esperienze, “transesperienze” è diametralmente opposta ad ogni tentativo di teorizzazione e meccanizzazione delle stesse, perché “transesperienze” è, in realtà, un tipo di “condizione e caratteristica della vita”. Quando dico che “transesperienze” è un concetto interno all’arte, intendo usarlo con l’esatto scopo di offuscare la razionalizzazione dell’arte e la meccanizzazione degli stili. Per quanto riguarda la “logica interna”, due famosi detti cinesi possono illustrare chiaramente la mia idea: “Diecimila cambiamenti non trasformeranno l’essenza delle cose” e “Non cambiare per affrontare i diecimila cambiamenti”.
ZX: Secondo quanto hai appena detto, quindi, possiamo considerare “transesperienze” come una “definizione della vita” universale, applicabile ad ognuno? Se questo fosse vero, allora, in che modo l’arte sarebbe rilevante? In che modo sarebbe collegata in maniera speciale con te, in quanto artista con un background culturale orientale?
CZ: Le tue domande si basano su un ragionamento fatto per contrari, probabilmente perché lo stesso “transesperienze” ha un’inclinazione contraria intrinseca. La tua prima domanda ha a che fare con l’assenza di confini dell’arte. L’arte, in effetti, è rilevante in ogni ambito, ma specialmente quando si parla di persone e delle loro vite. La tua domanda confuta questa caratteristica dell’arte da una prospettiva contraria, e sottolinea la natura totalizzante di “transesperienze” come “concetto dell’arte”. Secondo il buddismo, “Tutte le creature viventi possiedono il senso di un Buddha”. Questo detto sottolinea l’opportunità di applicare universalmente la legge della “possibilità che ogni cosa sia possibile”. Il successo, dipenderà da ogni singolo uomo. “Transesperienze” è applicabile a chiunque, persino ai carcerati. La tua seconda domanda fa riferimento alla questione dei fattori individuali intrinsechi che a sua volta è legata ai “confini” e alle “particolarità”. È una questione che ripercorre i più primitivi e i più misteriosi “codici segreti” e “incantesimi” dell’arte. In questi termini, “transesperienze” non rappresenta i segni esteriori di un individuo che ha viaggiato in tutto il mondo, ha fatto esperienza e ha acquisito conoscenze; piuttosto, “transesperienze” indica un tipologia interiore di “solitudine della spiritualità e una sovrapposizione di esperienze di vita”, in qualche modo “l’assenza di una patria culturale”, ovvero l’idea di non appartenere a nessuno pur essendo proprietari di tutto. Questo tipo di esperienza è già di per sé un mondo.
Gli alberi muoiono quando li si muove, le persone sopravvivono muovendosi — Il corpo si muove mentre il cuore resta fermo
ZX: Hai dovuto aspettare il 1990 per fare la tua prima mostra a Parigi. In altre parole, per quattro anni, da quando hai lasciato la Cina, non hai fatto nemmeno una mostra. Cos’hai fatto in quei quattro anni?
CZ: Non ho creato nulla di artistico.
ZX: Quindi, in quanto artista, hai passato quattro anni a non lavorare!
CZ: Intendo dire che non ho completato nessuna specifica creazione artistica, ma questo non vuol dire che io non abbia lavorato. Al contrario, ho lavorato duramente, giorno e notte. Forse è stato il periodo della mia vita in cui ho lavorato di più e in cui i miei pensieri sono stati più lucidi. Poche persone sono in grado di capirlo. Ai tempi la mia famiglia non mi aveva ancora raggiunto a Parigi. Ero solo, vivevo una vita incredibilmente semplice. Non avevo bisogno di molto. Affittai una piccola stanza di sette metri quadri, di quelle destinate alla servitù, nella periferia di Parigi, “mi nascondevo in un piccolo attico, ignorando le quattro stagioni”. Riuscii a vivere così per quattro anni! A volte, passava anche un mese prima che facessi una telefonata a qualcuno, e nessuno mi scriveva. Hai idea di che vita conducessi? Una vita in cui mi sentivo davvero come un destriero celeste che si libra nei cieli, libero di fare ciò che desideravo realmente fare! Avevo raggiunto il più raro senso di tranquillità e profondità di pensiero della mia vita!
ZX: Sembra una descrizione del paradiso. Ma certamente le cose non saranno state davvero così semplici e facili, non è vero? Ho sentito che eri piuttosto al verde in quel periodo.
CZ: E’ una questione di equilibrio. Mi è capitato di dover descrivere la mia situazione in quel periodo ad un amico francese. Nei termini della vita materiale, gli dissi che vivevo nella povertà più assoluta, ma era come se qui sopra (si indica la testa) avessi un “tesoro”. Questa è anche una questione di scelte. Se il tuo corpo e il tuo cuore sono entrambi al di sopra dei desideri materiali, la semplicità e la solitudine possono in realtà risultare comode.
ZX: Di cosa vivevi?
CZ: Il primo anno mio fratello mise da parte la sua borsa di studio per mantenermi. Fu come se mi avessero portato del carbone all’inizio di una nevicata, era esattamente l’aiuto di cui avevo bisogno. Non lo dimenticherò mai. Negli anni successivi, mi mantenni ritraendo le persone per strada, in estate. Sono un bravissimo ritrattista. Tre mesi di duro lavoro mi permettevano di vivere come un re per il resto dell’anno. Non sono uno che si lamenta. Essere lontano dalla Cina, ovviamente, non era facile, ma quella fu la prima volta nei miei trent’anni di vita in cui fui per me stesso sia “capo” che “padre”. Non c’era gerarchia in casa, non c’erano dipendenti, vivevo in totale anarchia. Se escludiamo le poche volte in cui ebbi problemi con la polizia per strada, conducevo una vita completamente libera da legami e restrizioni. In quel periodo credo di aver fatto esperienza della “condizione dell’artista” con il massimo della soddisfazione.
ZX: Non dovevi preoccuparti di chi stava sopra o sotto di te, e la povertà ti ha solo reso più forte. Ma, alla fine, cosa facevi?
CZ: Stavo lavorando per “tagliare i ponti” con il mio passato, ma, allo stesso tempo, trovavo difficile entrare nella società francese. Stavo quindi attraversando un periodo di trasformazione, che iniziò con lo studio del francese. A quel tempo due cose incombevano su di me con la massima gravità: lo studio della storia dell’arte e della società occidentale attraverso lo studio della lingua, e la rilettura della cultura cinese attraverso l’inglese e il francese.
ZX: Al contrario di molti artisti dell’avanguardia cinese, hai a malapena portato una “borsa di contenuti” dalla Cina. Hai iniziato tutto da zero, a partire dalla strada. In una situazione del genere, spesso risulta difficile fare il primo passo, ma una volta iniziato, i nuovi arrivati possono superare la vecchia guardia. Non credi che la tua crescita degli ultimi anni abbia confermato questa visione delle cose?
CZ: Non sono certo di essermi mosso più velocemente di altre persone. Ciò che so è che, rispetto alla maggior parte di loro, ho impiegato molto più tempo per imparare a camminare. Chi sa camminare veloce ha un grande talento, ma trovo sia meglio saper camminare a lungo. Quando avevo vent’anni preferivo le corse veloci, ora preferisco di gran lunga le maratone, o semplicemente “muovermi senza correre”.
ZX: Ti vedo correre qua e là tutto il giorno. Come fai a dire che non stai correndo?
CZ: Si chiama “muoversi”. Gli alberi muoiono quando li si muove, le persone sopravvivono muovendosi.
ZX: Quando una persona si muove, anche il suo cuore è in movimento.
CZ: “Il vento si muove?” “I poli si muovono?” “Le bandiere si muovono?” È il tuo cuore che si sta muovendo (una classica allusione presa dal Buddismo). Stando in macchina, il corpo è fermo e il cuore non è accelerato. Ma l’auto si muove. Questo è il muoversi senza muoversi. Oggi questo tipo di metodo creativo ci richiede di “viaggiare per diecimila chilometri” intorno al globo, e dovremmo essere capaci di muovere il nostro corpo mentre il nostro cuore rimane immobile.
ZX: Parli come un predicatore.
CZ: No, affatto. Sai, come molti artisti di oggi, passo due terzi del mio tempo, ogni anno, viaggiando e lavorando fuori casa. Se questo non ti lascia una “sensazione di crisi”, significa che sei molto vulnerabile. Per affrontare questa situazione puoi scegliere di immobilizzarti o di girarla a tuo favore. E’ un “movimento reattivo” contro un “movimento proattivo”. “Transesperienze ci aiuta ad essere coscienti nel godere di questo movimento, così da permetterci di spostarci senza distrarre il nostro cuore e di allargare il nostro cuore grazie al movimento.
“Cortocircuito” come metodo creativo
ZX: Parliamo un po’ del tuo lavoro. Nel 1995, a Ginevra, hai creato Round Table in the United Nations' Building (Tavolo rotondo nel palazzo delle Nazioni Unite). Credo che quell’opera rappresenti un punto di svolta nel tuo lavoro. Non includeva soltanto le tecniche duttili, diversificate e significative che di solito utilizzi per trasformare oggetti trovati e ready-made, ma in quel lavoro hai anche usato un linguaggio visivo incredibilmente semplice per far si che quegli oggetti ordinari—un tavolo e alcune sedie—assumessero caratteristiche visive ricche di connotazioni culturali, sociali e persino politiche, senza perdere un briciolo della loro identità culturale. Vuoi dire qualcosa in proposito?
CZ: Come sai, la risposta istintiva che ognuno ha di fronte a un oggetto, deriva spesso dalle osservazioni e riflessioni quotidiane fatte su quello stesso oggetto. La creazione di una buona opera d’arte non è mai accidentale. Mi sentivo così ridicolo quando pensavo che, per tutto il mondo, la cultura cinese era rappresentata esclusivamente dai ristoranti cinesi! Il tavolo rotondo è ovviamente uno degli arredi più comuni nei ristoranti cinesi. Per diverso tempo mi sono concentrato molto sul fenomeno del “tavolo rotondo”.
ZX: Volevi “riabilitare” il tavolo rotondo?
CZ: Non era certamente quella l’intenzione dietro la creazione di Round Table. Mi imbattei semplicemente nell’idea di un tavolo rotondo, pensai alle ricche implicazioni di quell’oggetto e al suo potenziale di trasformazione.
ZX: Dove hai preso le sedie? E che ruolo avevano?
CZ: Ho recuperato le ventinove sedie da cinque diversi continenti. Il punto focale del lavoro però non sono le sedie, e nemmeno il tavolo, è piuttosto il “guanxi” (relazione) tra il tavolo e le sedie. Il nodo del problema sta nel disporre le sedie e il tavolo in “modo normale”, ma creando una sorta di “relazione anormale”. I significati sono emersi quando ho incastonato le sedie nel piano del tavolo.
ZX: Questo lavoro è saturo di ricche implicazioni. Il linguaggio visivo è conciso e potente. Al contempo, mi trasmette una senso di “idealismo”: tutti i popoli seduti intorno a un tavolo rotondo, allo stesso livello, così che tutti siano soddisfatti.
CZ: Sei ottimista. Ma ti sei mai resoconto che nessuno potrebbe mai sedersi intorno al tavolo? Tutte le sedie sono bloccate dal tavolo stesso. Il tavolo non è forse un simbolo di potere? Sono stato molto discreto dovendo produrre un lavoro nel contesto delle Nazioni Unite. La metafora del “tavolo rotondo” non era solo rivolta alla portata e al raggio d’azione del potere, ma anche alle numerose diseguaglianze nello sviluppo del genere umano. Il tavolo rotondo ha una duplice implicazione. Da un lato, deve le sue origini al “pasto festivo” cinese, che sottintende unità, armonia e dialogo; dall’altro si rifà alle “tavole rotonde” internazionali, che implicano discussioni, negoziazioni, accordi politici e vincoli di potere. Ricordi che “nascondere un pugnale in un sorriso” è uno dei trentasei stratagemmi cinesi?
ZX: Dalla foto, si vede come le caratteristiche del contesto di quel determinato luogo abbiano rafforzato i significati del lavoro, dandogli quindi un potere spirituale.
CZ: Non è tanto il contesto ad aver elevato il lavoro; piuttosto, la nascita del lavoro si è da subito basata sulla presa in considerazione del contesto di quel dato luogo. Uno dei miei metodi creativi abituali consiste nel dialogare con il “contesto interno/invisibile di un luogo”. Ho esperienze di questo genere: quando propongo un progetto, intendo un grande progetto per un’installazione, per un luogo in cui non sono mai stato, emergeranno sicuramente dei problemi, grandi o piccoli. Mi è capitato di avere problemi davvero enormi, che possono addirittura includere la mancanza d’ispirazione. Un altro problema che si potrebbe creare è l’irrilevanza del lavoro rispetto al luogo, e viceversa.
ZX: Hai dichiarato che mentre realizzi un progetto, non ti serve uno studio. Possiamo quindi dire che il tuo relazionarti così profondamente al luogo significa anche usarlo come una sorta di studio?
CZ: Una cosa del genere potrebbe valere per molti artisti, ma non per me. Quando parlo di lasciare lo studio, intendo dire che voglio entrare nel mondo reale, tuffarmi sul fondo degli strati profondi della vita. Un luogo non è semplicemente uno spazio in cui lavorare, ma è un tipo di vita. Se il luogo è l’elemento che contestualizza il lavoro, allora quali sono gli elementi che contestualizzano il luogo? Dovremmo approfondire questa domanda.
ZX: Gli elementi che contestualizzano un luogo?
CZ: Esatto! Tutto ciò che è invisibile. La storia del luogo, ad esempio, il background della città in cui quel luogo si trova: il suo contesto geografico, sociale, culturale ed etnico etc. Anche il tema della mostra e l’intenzione del curatore sono spesso parte dei “fattori contestuali”. Qualunque importante fatto storico e ogni evento curioso accaduto nel luogo della mostra sarebbero “fattori contestuali”. Talvolta, anche elementi naturali o le differenze tra le stagioni possono essere considerati come “fattori contestuali”. Le caratteristiche del clima e della temperatura, la stagione delle piogge e la siccità possono essere considerati come “fattori contestuali”. Il lavoro che ho creato in Finlandia nel 1994, 37 C° The Human Body's Temperature (37° La temperatura del corpo umano), è un ottimo esempio in questo senso. Dovremmo essere in grado, per ogni contesto, di creare qualcosa dal nulla e trovargli poi dei pretesti.
ZX: Ma in conclusione, quella al contesto è un’attenzione d’influenza occidentale. Non credi che questa sia in realtà una costrizione per te?
CZ: Se guardi le cose utilizzando solo il metro della storia dell’arte occidentale, o parli di qualcosa con un tono che conferma l’idea che “l'arte contemporanea è stata inventata dagli occidentali”, allora, non solo perderai quello che potresti avere, ma vedrai svanire anche ciò che già hai. Come fanno i cinesi a costruire le proprie case? L’orientamento delle travi del tetto, la collocazione delle porte e delle finestre, la larghezza delle grondaie, la disposizione dell’arredamento e la posizione dei letti, tutte queste cose hanno a che fare con l’ambiente circostante.
ZX: Ora stai parlando dell’arte cinese del Feng Shui.
CZ: Anche questo è contesto! E’ semplicemente una questione di coscienza. Quando il cuore è passato oltre, non c’è più alcuna barriera. I cinesi come popolo danno al contesto un’enorme importanza. Da tempo immemore, il metodo di pensiero e il segreto attraverso cui si opera, nella scienza o nell’arte, non sono altro che il metodo del “puntare ai fianchi” o “predicare il Buddismo indirettamente”. La medicina popolare cinese enfatizza la “cura dei disturbi nella parte alta del corpo trattandone la parte bassa” (curare un mal di testa applicando gli aghi dell’agopuntura sull’“agopunto della fontana zampillante”, sotto il piede o le malattie a lungo decorso e la difficoltà di respiro rinforzando i reni e inalando aria). Tutte queste pratiche curano le malattie nel contesto del corpo intero. Nell’ambito che circonda una cosa, ci sono moltissimi oggetti o elementi, spesso invisibili. Volendo creare oggi, non dovremmo solo cercare di comprendere come espandere il concetto di lavoro artistico, ma anche sviluppare la cognizione del raggio d’azione e delle implicazioni del contesto.
ZX: Sembri avere dei riferimenti unici nella conoscenza e nell’esperienza del contesto. Allora, permetti che ti chieda, quali sono le relazioni specifiche tra il lavoro e il suo contesto? In altre parole, nella sua particolare relazione con il contesto, quale dovrebbe essere il processo di creazione?
CZ: Una volta un amico mi chiese come mi ero sentito raggiungendo il momento e lo stato più eccitante del mio processo creativo. Gli ho risposto che era stato come il fenomeno elettrico di un “cortocircuito”. Due elettrodi opposti si incontrano: estranei, ma appartenenti allo stesso circuito elettrico. Quello che davvero mi interessa è il potere “scioccante” e “distruttivo” scatenato da un “cortocircuito”. Quella è creazione. Quello è il momento più stimolante. Per darti una risposta più diretta, ogni volta che un artista incontra nuovi “fattori contestuali” sentirà – su livelli, gradi e parametri di potere diversi – conflitti, dialoghi, e un “richiamo dal tempo e dallo spazio” o una vicendevole trasformazione. In breve, percepirà il fenomeno del "cortocircuito”.
ZX: Le tue esperienze si scontrano con le “esperienze del luogo”, causando osmosi e trasformazioni. Questo è “transesperienze”. Ma pensi che la vita dell’opera d’arte stessa venga quindi limitata? Le opere godono ancora della loro indipendenza? Cosa dobbiamo fare di loro alla fine di una mostra?
CZ: Il fenomeno del “cortocircuito” nel processo creativo indica il concepimento dell’opera, e l’innescarsi del processo mentale. Il momento in cui avviene è molto simile alle condizioni e alla situazione di un “neonato che esce dal grembo materno”. Il dialogo con il “contesto interno/invisibile di un luogo” riflette il concetto e la volontà di lasciare lo studio. Questa pratica si allontana dalla tradizione del pensiero monotono dell’artista e del suo studio come spazio chiuso, basandosi su esperienze occasionali, temporanee, incerte, disordinate, irregolari e mutevoli. È un’idea che si propone di distruggere l’approccio meccanico dell’artista solitario. Per quanto riguarda il destino delle opere dopo una mostra, si tratta di una questione di “reinterpretazione”.
Volendo ri-esporre un’opera che è già stata vista altrove, per esempio, bisognerà investigare il nuovo insieme di fattori contestuali. Al momento però, io sto anche prendendo il considerazione il tema dell’“inter-contestualizzazione in mezzo a o comunque tra le opere”. In altre parole, se unisci due o più opere che sono state create in contesti diversi, una può “creare il contesto” per l'altra, o viceversa. Se, per esempio, associamo Fu Dao/Fu Dao - Upside-down Buddha/Arrival at Good Fortune (Fu Dao/Fu Dao - Buddha a testa in giù/Arrivo alla buona sorte) pensato per il CCA del Giappone (Center for Contemporary Art, Kitakyushu), Prayer Wheel—Money Makes the Mare Go (Ruota della preghiera - I soldi fanno muovere la giumenta) per il P.S.1. di New York, e persino Game Table (Tavolo da gioco) prodotta per Shanghai, le tre opere avranno tra loro un immediato senso di “inter-contestualizzazione”, perché, pur essendo state create in luoghi diversi, la loro indagine di temi legati alla cultura, all’economia, agli scontri spirituali e materiali, alla globalizzazione del sistema capitalista e ai conflitti contestuali di culture diverse hanno le stesse radici. Guardiamo a un altro esempio. Mettendo insieme in una mostra Round Table (Tavolo rotondo), Game Table (Tavolo da gioco), e Under the Table (Sotto al tavolo), che sto per produrre, vedremo come nonostante la prima sia stata creata nel contesto delle Nazioni Unite intorno al tema “della politica e del genere umano”, la seconda sia stata ideata in relazione all’esplosiva crescita economica di Shanghai, prendendo in considerazione “denaro e persone”, e la terza sarà un’opera che mette in discussione la relazione tra “società e persone” nel contesto di forti conflitti sociali, questi tre tavoli sono destinati ad avere un incredibile legame empatico.
Significherebbe allestire una mostra di “inter-contestualizzazione tra le opere”.
ZX: Ciò che hai appena esposto sembra molto interessante. Dovrebbe diventare un nuovo approccio all’organizzazione di una “mostra personale”. Tramite questo metodo, i lavori sono riorganizzati non solo secondo il loro contenuto, ma anche secondo il loro formato. Questo non rappresenta forse una sorta di “transesperienze” in mezzo a o comunque tra le opere? Ciò che mi interessa, però, è: mettendo troppa enfasi sul contesto, non rischiamo di imporre troppe restrizioni non necessarie alla creazione artistica? Non corri il rischio che la tua necessità di sviluppare nuove modalità di pensiero ed espandere le capacità contestuali ti costringano in uno spazio in cui vieni invitato a “dialogare con il contesto” in maniera meccanica?
CZ: Perché lo pensi? Cos’è in fondo il contesto? Daily incantations (Incantesimi quotidiani) è il risultato della mia prima visita a Shanghai dopo otto anni vissuti oltreoceano. Nessuno mi aveva invitato a esporre in quel momento. Ho semplicemente rivisto quelle splendide signore di Shanghai che la mattina presto pulivano i loro vasi da notte in legno ai lati della strada, e lo facevano all’ombra dell’Hilton Hotel di Shanghai! Ci ho visto un richiamo alla “lettura quotidiana del Libretto Rosso” durante la rivoluzione culturale: una meccanica e apatica “ripetizione quotidiana”. Ciò che rende questa situazione così intrigante è che questa ripetizione quotidiana è strettamente intrecciata con la “modernizzazione”. Mi sono imbattuto nell’ispirazione per Daily Incantations, per la sua creazione e persino per il suo titolo, in maniera naturale. Non ha subito alcuna limitazione. Non si dovrebbe dare per scontato che pioverà ogni volta che si alza il vento. Un artista a volte può mettere insieme una mostra a partire dalla sua stessa mente. I “sogni” sono un altro tipo di “contesto”. L’incontro tra l’artista e il contesto può avvenire più o meno in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Ovviamente, non importa dove e quando, che l’artista si senta ispirato o no è un problema completamente diverso. In breve, non impongo, e non mi viene imposta, alcuna limitazione.
La Banca culturale dei geni: rivitalizzare il passato e ravvivare il presente
ZX: Parlando di Daily Incantations, mi piacerebbe approfondire la questione dei vasi da notte. Com’è visto l’utilizzo dei simboli della cultura del tuo Paese dagli artisti cinesi della tua generazione, specialmente quelli di voi che vivono oltreoceano, che hanno a che fare ogni giorno con gli occidentali? Ho la sensazione che siate tutti funamboli, e che stiate giocando con il fuoco.
CZ: Non pensi che camminare su una corda e giocare con il fuoco siano anch’esse forme d’arte? Ovviamente so bene che ora tocca a te parlare di contesto.
ZX: Si vive in un contesto, e si cammina di fronte ad altre persone.
CZ: Ma si vive anche nel proprio mondo.
ZX: Il tuo mondo è in Cina o in occidente?
CZ: Direi a metà tra i due.
ZX: Quello che sto chiedendo è, credi sia giusto giocare la carta cinese?
CZ: Non gioco la carta cinese. E neanche la carta occidentale. Soprattutto non mi piace diventare una carta che altri possano giocare. Il detto “giocare carte qualunque in qualunque luogo ti trovi” significa in realtà creare il contesto per te stesso. Diciamo che a gennaio sarai in Europa, a febbraio in Asia, in America a maggio. Se stai creando e nel frattempo viaggi a questo ritmo, che carte devi giocare? Alla fine dovresti giocare le tue carte, le mano che già hai. Il metodo creativo del “corto circuito” di cui parlavamo prima, è una delle mie carte.
ZX: Quali sono i tuoi rapporti con il mondo esterno e con le altre persone mentre viaggi?
CZ: Tu mi hai in te e io ti ho in me.
ZX: Ti mescoli con gli altri senza fare distinzioni?
CZ: Il mio atteggiamento verso il mondo, il mio pensiero artistico e la mia pratica sono tutti diversi da quelli degli altri. Sono tutti costruiti sul concetto di distanziamento. Il detto cinese “Un lungo periodo di separazione porta al ricongiungimento, un lungo periodo di ricongiungimento porta alla separazione” è semplicemente il principio dell’affrontare il mondo e i popoli che lo abitano. Vorrei sottolinearlo di nuovo: questa è la “solitudine auto-imposta dell’aprirsi e spostarsi”.
ZX: Non hai però ancora parlato della questione dei simboli culturali cinesi.
CZ: Nessun’area è proibita, proprio come gli Otto Immortali della leggenda cinese attraversano il mare, ognuno mostra il suo talento speciale. Posso darti solo la mia opinione. Per prima cosa, mi sono imposto due principi per risolvere questo problema: uno è “jie gu feng jin” ovvero “usare il passato per fare la satira del presente”. Ovviamente, non dovremmo considerare nessuna cosa passata che non abbia una rilevanza nell'odierno contesto sociale, politico, economico e culturale. Il secondo principio è “jie suo gu”, ovvero considerare il “passato vivente”, ma non adorare il “passato morto”. In altre parole, utilizzare cose vissute, piuttosto che cose trovate soltanto nei libri. Questo è stato il motivo, e l’incentivo, che mi ha portato a tornare a lavorare in Cina e in altri paesi asiatici molte volte negli ultimi anni. Si vede in diversi dei miei lavori, come Round Table, Daily Incantations, Game Table, Fu Dao/Fu Dao—Upside-down Buddha/Arrival at good fortune, e Prayer Wheel—Money Makes the Mare Go. Anche se queste opere sono state create in contesti diversi, in Asia, Europa o Nord America, il principio rimane lo stesso: “Rivitalizzare il passato e ravvivare il presente”. Hai parlato dei vasi da notte. Per prima cosa, ciò che mi colpisce di quell’oggetto, non è l’arte. E' un oggetto ordinario, pensato per un uso quotidiano. I Cinesi hanno una doppia visione del vaso da notte: la prima è che la maggior parte delle persone lo considerano una cosa brutta. La seconda è che i superstiziosi pensano che il vaso da notte sia “il vaso del figlio e del nonno”. Aiuta a propagare e riprodurre e a portare avanti le generazioni. Il dualismo intrinseco di questo oggetto è molto simile alla qualità invisibile dell'arte contemporanea. Il calcio bianco che si sedimenta sulle pareti interne del vaso da notte è addirittura una rara e preziosa medicina cinese, chiamata “prolabio bianco”, usata per disperdere il calore e alleviare la febbre. Le cose che, come questa, sono dotate di una doppia natura, sono quelle che mi piacciono di più. In più, secondo le politiche urbane occidentali, i vasi da notte andrebbero eliminati, sono oggetti che vanno verso l’estinzione. Quindi hanno una relazione molto stretta con concetti come “l’Occidente”, la “modernizzazione” e la volontà di “sostituire il vecchio con il nuovo”. L’abaco in Money Makes the Mare Go può essere guardato dallo stesso punto di vista. Entrambe queste cose hanno in loro un significato satirico che riguarda l’uomo moderno, e sono quindi degne di “jie-ing”.
ZX: Hai usato la parola “jie” in modo molto sottile. In altre parole, le cose che sono “jie-ed” sono pronte. Sono simboli culturali cinesi usati come delle specie di “ready-made”.
CZ: Stai cercando di usare il concetto di “ready-made" per definire la cultura tradizionale cinese? Non hai paura di imporre l’occidentalizzazione alla cultura tradizionale cinese dopo che la società contemporanea cinese si è già profondamente occidentalizzata (a partire dalla grandi metropoli)? E infatti, mentre ci si “jie-ing al passato” (appoggia al passato), è anche molto importante “screditare il passato”. L’idea non è quella di trapiantare le immagini in modo diretto, o muoversi nel tempo e nello spazio direttamente. I simboli della cultura cinese non sono affatto “pronti”, a meno che tu non stia parlando della calligrafia. Ti prego di non dimenticare che la nostra intera generazione ha nutrito un fortissimo spirito di ribellione verso la nostra stessa cultura tradizionale. Come possiamo diventare amanti dell’antiquariato soltanto perché, lavorando in un contesto occidentale, siamo costretti a usare la cultura tradizionale come tattica?
ZX: Come la chiami allora?
CZ: Penso sia una buona idea chiamarla la “banca dei geni”. La cultura cinese come “banca dei geni” è rimasta ibernata per almeno cinquecento anni. E ora si sta svegliando.
ZX: “Banca dei geni"?
CZ: Si. Ciò di cui stiamo parlando è una questione di genetica. I geni hanno due caratteristiche fondamentali: il potere interno dell’ereditarietà e i fattori di condizionamento esterni. Entrambi questi elementi sono prerequisiti per generare la vita.
ZX: Allora non hai potuto evitare i simboli culturali cinese a causa dell’ereditarietà.
CZ: Hai ragione a metà. Una persona come me, che ha lasciato la Cina a trent’anni, non può cambiare i proprio geni, anche se cambia il proprio sangue innumerevoli volte. La razza gialla sarà sempre razza gialla. Ma posso aiutarmi se voglio. Certo, a volte, sarò involontariamente influenzato dai miei geni. Mi è appena venuta in mente una persona, l’artista giapponese On Kawara. Non importa in che modo lui consideri i suoi “dipinti-data”, e non importa come li vedano gli occidentali, dal mio punto di vista, due massime buddiste sul tempo devono aver in qualche modo scatenato su di lui l’effetto-gene: “Nella vita non ci si può aspettare che un giorno sia migliore di un altro” e “Il significato della vita risiede nel fatto che un giorno sarà sicuramente seguito da un altro giorno”.
ZX: Ho la sensazione che gli elementi interni ed esterni di un gene abbiano la stessa radice del concetto di “cortocircuito” di cui parlavi prima.
CZ: Sono due linee accostate e parallele di Yin e Yang. Sai, l’ibridazione e l’innesto possono essere fatti solo basandosi sui geni e consistono nell’accoppiare due diversi tipi di geni per produrre la vita, mettere insieme invece è come incollare una pelle su un’altra per cambiarne l’aspetto. L’uso corretto della cultura cinese, quindi, dovrebbe venire da dentro, e non da fuori.
ZX: Se dicessimo che i tuoi trent’anni di vita in Cina ti hanno dato la tua base genetica, dovremmo allora dire che anche i dieci anni di vita in occidente hanno lasciato in te qualche traccia genetica? Secondo me nel tuo corpo hai due tipi di geni.
CZ: Non importa in che modo i due siano proporzionati, quello che hai detto è vero. Ciononostante, sono convinto che la lingua madre determini il "gene dell’identità” di una persona.
ZX: Dal mio punto di vista, se dobbiamo creare un’opera valida tramite ibridazione, per prima cosa, l’artista stesso deve diventare un vero e proprio “essere geneticamente ibridato”. Mentire sulla propria struttura genetica non funziona.
CZ: Fantastico! Hai centrato il fulcro del problema. Questa è una critica sagace per ogni opera che mette superficialmente insieme culture diverse.
Metodo Concettuale Metaforico
ZX: Ho un’altra domanda su questo tema. Come fai a distinguere le differenze intrinseche dei due lati che verranno ibridati? Per esempio, non faresti mai l’errore semplicistico di dichiararti un artista concettuale, ma volendo aggiungere a quanto hai detto sulle problematiche dei metodi e delle condizioni per la creatività, risolte con i concetti di “cortocircuito” e “contesto”, come descriveresti il tuo modo di pensare? Se lo mettiamo a confronto con quello degli artisti occidentali, quali sono le sue caratteristiche?
CZ: Noi cinesi siamo abituati a pensare girando intorno alle cose. Questo ci ha portati a ricevere impressioni negative da parte delle altre persone. I francesi considerano “cinese” tutto ciò che gli risulta incomprensibile (C'est du chinois). Lo prendo come un enorme complimento. Significa che i cinesi non guardano direttamente ai problemi, e non fanno dichiarazioni dirette. Questa constatazione rappresenta di per sé la differenza fondamentale tra noi cinesi e le altre persone. Insinuazioni, indizi, allusioni, metafore, pretesti, circoscrizioni, paradossi, capovolgimenti, incastri, eufemismi, predizioni, false credenze, contrari, ambiguità e anche le classiche citazioni e i riferimenti alle autorità, etc., dimostrano l’incredibile fascino e potere della cultura e della lingua cinese. Secondo me tutto questo può essere sintetizzato come “metodo concettuale metaforico”.
ZX: Hai appena parlato per metà in cinese e per metà in una lingua occidentale.
CZ: E’ diventata una condizione naturale, una seconda natura.
ZX: Questo modo di pensare funziona nel contesto occidentale?
CZ: Sono sopravvissuto dieci anni con questo modo di pensare. In più, oltre ad essere un modo di pensare utile ad uno “straniero” come me per sopravvivere al meglio, è una modalità di conversazione e una “strategia culturale”: nello specifico, l’utilizzo di un linguaggio ambiguo e indiretto per raggiungere effetti critici che siano più efficaci e più profondi degli “scontri frontali”. Per questo ho iniziato a produrre installazioni nel 1990. L’intero processo, dal concepimento al titolo, la scelta di materiali e oggetti, e il completamento del lavoro, fanno affidamento su questo metodo metaforico. La chiave delle metafore, tra l’altro, si trova in “jie” (prendere in prestito). Puoi “jie” liberamente qui e là, dall’Oriente come dall’Occidente
ZX: Ricordo che, all’inizio del 1992, hai esposto un lavoro intitolato Return the Incarnation in a Borrowed Corpse (Restituisci l’incarnazione in un corpo preso in prestito) ai MAGASIN (Centre Nationale d'Art Contemporain de Grenoble, Francia).
CZ: Ci sono molti detti cinesi incentrati sulla parola “jie” (prendere in prestito): “Offrire al Buddha fiori presi in prestito”, “uccidere con un coltello preso in prestito”, “prendere in prestito il soggetto per esagerare i problemi”, “affidarsi all’acqua per far andare avanti la barca”, “affidarsi alla vela per far alzare il vento”, etc. Io credo che la parola “jie” definisca un sistema concettuale molto cinese. Gli anziani cinesi la chiamano “intraprendenza”. I concetti occidentali stanno principalmente nell’area della “mente pensante”, mentre l’“intraprendenza” cinese risiede nel “cuore che complotta”. È molto diverso quando si usa il cuore invece della mente. Dietro alla parola “jie” risiede qualcosa che è più una mescolanza spuria di ibridazione e potere concettuale, piuttosto che purezza concettuale. Per “jie” (prendere in prestito) liberamente e con metodo, devi essere ricco di “trans-esperienze”. La vita è una grande banca. Allo steso tempo, secondo me, il “jie” cinese (prendere in prestito) implica un “potere digestivo” incredibilmente potente e sicuro. Non importa se prendi in prestito dai membri della tua comunità o dagli estranei, alla fine ne uscirai sempre “giallo”. Quindi, oggi non abbiamo paura di prendere in prestito dal passato cinese o dall’occidente moderno. “Prendere in prestito” può “fermare la legge” e ottenere un “concetto illogico” o una “logica caotica”.
Eterna incomprensione
ZX: Non hai paura delle incomprensioni?
CZ: Di recente ho avuto una conversazione con un critico Americano. Il titolo della nostra conversazione è I Am Trying to Create Misunderstanding (Sto cercando di creare incomprensione). L’incomprensione è la conseguenza più stuzzicante della comunicazione. È un “medium” efficace che rende possibili gli scambi culturali e la coesistenza di culture differenti.
ZX: All’inizio di quest’anno, hai creato Round Table—side by side (Tavolo rotondo—vicini) per la Lyon Biennial in Francia, il cui tema era “Others" (Altri). Sul piano del tavolo rotante, hai inciso le parole “Eternal Misunderstanding” (Incomprensione eterna). Sembra la lancetta corta di un orologio, che fa i suoi eterni giri tra il continente europeo e quello asiatico. Era il tuo tentativo di rendere l’incomprensione eterna?
CZ: Non posso dire di essere stato il primo ad avere quell’idea. Nel 1993, su un volo per la Corea del Sud, Pontus Hulten mi chiese di sedere vicino a lui. Parlammo molto dell’Asia e della Cina, e degli scambi culturali tra l’oriente e l’occidente. Mentre l’areo stava per atterrare, gli dissi: “Hai dedicato molti anni ad un tentativo di espansione del concetto di arte e degli scambi culturali tra Oriente e Occidente. Com’è stato interfacciarsi con persone asiatiche?”. Rispose: “Un'eterna incomprensione”. Parole sorprendenti, ma in qualche modo piene di pietà. In quel momento, ho dichiarato a me stesso che, un giorno, avrei creato un progetto che glorificasse l’eterna incomprensione. Quindi, come primo elogio all’eterna incomprensione, ho inciso queste parole sull’opera come fossero un “testo trovato”. Ovviamente, aggiungere queste parole a Round Table—side by side, è anche il mio modo per aprire un dialogo con il senso intrinseco della mostra.
ZX: Seguendo la tua idea, quindi, la conseguenza del multiculturalismo potrebbe semplicemente essere l’incomprensione?
CZ: L’incomprensione è già dichiarata in un incontro. Si presenta soltanto quando stai cercando di conoscere e comprendere l’altra parte. Le cose ovvie e superficiali non causeranno incomprensioni, che si verificano solo in uno specifico strato profondo della comunicazione. La maggior parte delle persone che si occupano di ricerche multiculturali cercano comprensione dagli, e degli, altri. Ma come puoi studiare gli altri tagliando fuori te stesso? Di conseguenza, dovremmo cercare di essere sempre in movimento per poter studiare, cercare e creare incomprensioni. Oggi, uno dei più grandi meriti dell’arte è quello di saper stimolare il desiderio reale di studiare gli “altri” e le “altre culture” attraverso la creazione di incomprensioni. Le “altre culture”, infatti, non possono essere invitate o comprate. Si può comprare solo del pesce secco. Il pesce vivo può essere osservato e apprezzato soltanto in acqua.
ZX: Credi che i concetti di comprensione e incomprensione siano così diametralmente opposti?
CZ: Nell’ambito dell’arte, la comprensione non esiste. Individuare il punto in cui si è verificata l’incomprensione sarebbe già un’incredibile epifania. La storia dell’arte è una “storia di immagini”. Dietro alle immagini c’è “mancanza di comprensione” e incomprensione. È quello che noi chiamiamo arte.
ZX: Dici cose che sembrano viaggiare sul confine della superstizione.
CZ: L’arte è in qualche modo una superstizione. Da un certo punto di vista, anche la scienza è superstizione. Finché ci saranno “cose inspiegabili” e finché cercheremo di spiegare l’inspiegabile, ci sarà la superstizione. L’incomprensione è semplicemente un altro tipo di superstizione. Il desiderio che sta dietro alla comprensione è in qualche modo collegato all’incomprensione, ma la comprensione e l’incomprensione sono incompatibili.
Una mossa ogni dieci anni
ZX: Gli ultimi anni ti hanno spesso visto attivo in Asia e in Nord America. Sembra che tua stia iniziando a fare delle mosse importanti. E’ evidente che il tuo pensiero creativo è molto attivo.
CZ: E' strano, ma nella mia vita, ogni decade ha segnato una nuova pietra miliare. Una decade di rivoluzione culturale, una di apertura della Cina, una di vita in Occidente. O sono stato spinto dagli altri a fare una mossa oppure ho voluto muovere io stesso. Ora che sono sulla soglia di una nuova decade, sarà naturale fare una nuova mossa.
ZX: Quando sei stato negli Stati Uniti la prima volta? È stato in occasione di una mostra?
CZ: Era il 1993. L’obiettivo del viaggio era fare esperienze di vita, in preparazione di una mostra che avrebbe dovuto inaugurare l’anno dopo al New Museum of Contemporary Art di New York City.
ZX: Il tuo lavoro Field of Waste (Campo di rifiuti), riesce a evocare un “campo” in modo diretto, eppure enigmatico. Ho sentito dire che stavi lavorando in un laboratorio tessile cinese a New York, cucivi “tappeti” fatti di bandiere cinesi, bandiere americane e vestiti di vario genere e che bruciavi anche giornali ad Harlem.
CZ: Quell’esperienza è stata per me un punto di svolta. Per la prima volta, ho capito che, negli Stati Uniti, il concetto di multiculturalismo non apparteneva solo ai musei; era stato formulato, piuttosto, tramite la convivenza di una pluralità di razze e di vari conflitti interrazziali. Il mio pensiero in quel momento fu che, per completare la mia opera, era necessario che io lavorassi insieme alle persone che erano lì. Questo fece si che metà di Field of Waste nascesse dalla collaborazione con gli operai del laboratorio tessile cinese, mentre l’altra metà fu il risultato di una collaborazione con due amici che stavano bruciando giornali ad Harlem. In quel periodo, ho conosciuto Nari Ward, un artista Giamaicano-Americano. È stato importantissimo per il completamento del mio progetto. Attraverso la nostra amicizia, ho davvero compreso come, negli Stati Uniti, “le persone di colore sorreggono metà del cielo”.
ZX: So però che esiste un conflitto serio tra l’Europa e gli Stati Uniti. Coloro che hanno vissuto in Europa iniziano spesso a nutrire sentimenti “anti-Americani” più o meno intensi. L’azione di Beuys (I like America and America likes me - L’America mi piace e io piaccio all’America) non si può quindi considerare casuale.
CZ: Non ti rendi conto di che educazione ho ricevuto in Cina durante i miei primi trent’anni di vita?! L’Alleanza delle Otto Nazioni bruciò i Giardini Yuanming a Pechino e il Governo della Dinastia Qing cedette Hong Kong al Regno Unito. Ciononostante ho vissuto a Parigi, in Europa, per gli ultimi dieci anni. Come potevo omologarmi a loro soltanto perché li avevo sentiti dire qualche parola? Persino Mao Tse-Tung, dopo aver avviato i rapporti diplomatici tra la Cina e gli Stati Uniti, ha dichiarato che il popolo cinese e quello americano erano amici. Questo è anche in accordo con lo spirito del buddismo. Ciò che mi interessa degli Stati Uniti è il loro popolo e la tensione sociale, le contraddizioni, i poteri contrastanti, che fungono da sfondo al concepimento della creazione artistica. Volendo davvero tenere gli Stati Uniti a distanza di sicurezza, bisognerebbe comunque studiarli e farne esperienza da vicino, così come si vuole mantenere la distanza da ciò che amiamo di più, come la nostra terra d’origine o la nostra cultura. Allo stesso tempo, questa esperienza potrebbe aggiungere al tuo cuore un altro continente. Una volta separati dall’“ambiente ecologico della propria lingua madre”, si potrebbero trasformare le proprie “limitazioni linguistiche” in una forma di libertà. Quando ho lasciato la Cina non l'ho fatto per circoscrivermi in un altro paese o regione; piuttosto, ho lasciato la Cina per abbracciare il mondo intero.