Disordine e Destino
di Philippe Comar
Prefazione per il catalogo dell’esposizione Lisier d’encre [Liquami d’inchiostro] di Dany Danino, Museo Félicien Rops, Namur, maggio-settembre 2016.
Nel 1674, Antoni van Leeuwenhoek, fabbricante di tessuti a Delft, inventa uno strumento per controllare la purezza delle stoffe. Questo strumento è il microscopio. Enorme è il suo stupore quando la lente sferica capace di ingrandire fino a trecento volte porta alla luce un mondo insospettato e infinitamente complesso. Catturato da quello spettacolo, Leeuwenhoek comincia a sottoporre al proprio microscopio zampe di mosca, bàrbule di penne di uccelli, uova di pulce, pistilli di fiori, cristalli di sale, polvere da sparo, gocce d’acqua stagnante e sperma. È tutto un universo che si svela al suo occhio nudo, intrichi di delicate architetture, alghe translucide in sospensione, reti capillari e arborescenze dalle vertiginose ramificazioni: un universo popolato da creature strane che dimostrano di appartenere alla categoria degli esseri viventi, con tanto di ciglia e flagelli che si muovono. Un universo senza alto né basso, senza destra né sinistra, un universo che sembra sfuggire alla gravità e alle altre leggi elementari che governano la vita degli uomini. Qualche anno prima, il cannocchiale astronomico di Galileo aveva ricacciato i confini del cosmo ben oltre il visibile, rivelando un’infinità di mondi, ciascuno con il proprio firmamento, le proprie comete, i propri soli e i propri pianeti. L’uomo, fino a quel momento ben accampato sulle certezze che gli offrivano i sensi, comincia a perdere il proprio equilibrio e a oscillare tra i due infiniti pascaliani – punto impercettibile a fronte del tutto, intero mondo a fronte del nulla.
L’ultima serie di litografie di Dany Danino ci immerge nel cuore di un vortice metafisico. È un brodo di cultura, in tutti i sensi del termine. Attraverso il prisma del proprio strumento ottico, l’artista ci mostra la confusione del mondo. Nessuna scala cui fare riferimento. Nessun punto privilegiato che ci permetta di orientarci, nessun orizzonte. Il senso con cui leggiamo le immagini è indifferente – l’artista stesso disegna su un piano, girando attorno al proprio foglio di carta. Nessuna forma sembra avere la meglio. Solo i bordi del foglio riescono a delimitare il campo dell’osservazione. Alcune delle stampe manifestano addirittura palesemente la natura lacunosa delle immagini, cui sembra sempre mancare una porzione, quasi che il vetro della lente ottica sia rotto o scheggiato.
All’interno dello spazio imposto dalla stampa, regna il caos. Navighiamo nel magma indifferenziato delle forme e degli esseri, e i vari strati si sovrappongono in filigrana. È un maelstrom di forme, spesso frammentarie, in cui gettati alla rinfusa ritroviamo carlinghe d’aereo, salamandre, case, soldatini di piombo, corvi, motori, pianeti, piante, il tutto mescolato a forme spettrali. Le differenze di proporzioni impediscono qualsiasi lettura globale. Dobbiamo osservare queste stampe non solo da lontano ma anche da vicino per riuscire a identificare una qualche forma in mezzo all’aggrovigliata profusione di dettagli; o perché l’immagine quasi subliminale di una testa umana possa finalmente filtrare. Siamo tornati al mondo delle forme prima della loro organizzazione in uno spazio gerarchizzato; ci troviamo immersi in questa minestra primitiva – sempre che non si tratti invece di una visione apocalittica, a prefigurazione della fine del mondo, e che la testa intravista sia solo il risultato delle volute di un’esplosione atomica. A furia di contemplare queste immagini caotiche, un dubbio s’insinua: che il mondo così com’è e così com’è sempre stato e che l’immagine ragionevole che noi ne ricaviamo siano solo un’illusione dei nostri sensi, o della nostra immaginazione.
Nelle sue opere precedenti, Dany Danino ci ricordava che non dobbiamo accontentarci delle apparenze. I suoi corpi-paesaggi evocavano le formicolanti anatomie di Paolo Mascagni e di Antonio Serantoni, in cui però all’attenta descrizione degli organi si sostituiva tutta una serie di fantasmagorie dello spirito. I corpi sembravano aver affrontato un processo di maturazione o di decomposizione che ne rivelava i segreti, meravigliosi o vergognosi che fossero. Ancora riconoscibili grazie ai loro profili, queste carogne oniriche esibivano le proprie interiora e offrivano allo sguardo un agglomerato di forme eteroclite, organi improbabili e membra fantasmatiche, mescolando assieme mondo minerale, mondo vegetale e mondo animale e intrecciando tra loro passato e futuro. Eredi dei ritratti di Arcimboldo, le opere di Dany Danino si rivelavano macchine capaci di distruggere la coesione dell’atomo umano e di mostrarne l’irriducibile eterogeneità – bombe a fissione nucleare destinate a mandare in mille pezzi il proprio nucleo narcisista.
Nella sua nuova serie di stampe, invece, non si disegna alcun corpo. Le immagini sono sature di forme fino ai bordi del foglio. Se si potesse semplicemente applicare una doppia lettura, potremmo dirle simili a quelle serie di cartoline stampate durante la Grande Guerra per mostrare tutte le atrocità commesse e che, raccolte in un certo ordine, andavano a comporre un ritratto caricaturale del Kaiser. Qui però la serie è incompleta e noi non sapremo mai di chi queste immagini rappresentino la parodia, di quale tiranno dello spirito siano l’effigie. Rimaniamo di fronte al caos.
L’interesse di Dany Danino per il disordine è raro tra gli artisti e i creatori, tanto raro da poter essere qui rimarcato. Tutte le grandi religioni, tutti i grandi sistemi filosofici e quasi tutte le grandi opere si sono adoperate per mettere ordine, sistemare, distribuire, classificare, collegare e comporre. La verità è che il disordine potrebbe invece rivelarsi addirittura più fecondo dell’ordine, maggiormente in grado di insegnarci qualcosa: una fonte d’interrogazione permanente. Bossuet, altro contemporaneo di Leeuwenhoek, paragonava la percezione che abbiamo del mondo a quella offerta dalle anamorfosi, giochi di prospettiva all’epoca tanto in voga: «La prima veduta non vi discuopre che lineamenti difformi, e una confusa mescolanza di colori, la quale sembra essere o il saggio di un principiante o il giuoco di qualche fanciullo, piuttosto che l’opera di una mano sapiente. Ma appena colui il quale sa il secreto ve le fa mirare da certo luogo, tosto le linee ineguali raccogliendosi in un certo modo nella vostra vista, tutta la confusione sparisce e vedete comparire un volto con tutti i suoi lineamenti e le sue proporzioni, ove prima non vi era apparenza alcuna di forma umana. Questa, per quanto mi sembra, signori, è una immagine assai naturale del mondo, della sua apparente confusione, e dell’occulta sua giustizia»1 . In questo, Dany Danino dimostra di essere un uomo del Seicento, un contemporaneo di Leeuwenhoek e di Bossuet, un gigante che osserva attraverso il prisma del proprio strumento ottico la confusione che regna su scala umana. Se però nel Seicento le anamorfosi servivano idealmente a dimostrare che l’ordine del mondo può rivelarsi solo partendo da un punto di vista unico e sovrano, le opere di Dany Danino mancano assolutamente di prospettive da cui poter sbrogliare o risolvere la confusione: il mondo che descrivono è il nostro, quello cioè della morte di Dio, della bomba atomica, del fallimento delle grandi ideologie e della perdita del senso della Storia. Sono enigmi senza soluzione, figure del nostro indecidibile destino.
È proprio questo che le rende tanto potenti e inquietanti.
- Jacques-Benigne Bossuet, Sermon pour la deuxième semaine de Carême (Sermon for the second week of Lent), delivered Thursday March 9th, 1662 (tr. it Sermone primo per il giovedì della seconda settimana di Quaresima, recitato alla corte, in Sermoni di monsignor Jacopo-Benigno Bossuet vescovo di Meaux, Tomo IV, presso Pietro Merletti, Venice, 1800, p. 120).